Non sono fantasiose, ma nulla si richiama alle identità convenzionali. No. Le culture invisibili, di cui si parla in questo articolo, sono quelle che attraversano uno “spazio indefinibile” o – come spiegava l’antropologo Ugo Fabietti – riguardano realtà “sfrangiate, prive di bordi, difficili da definire, in continuo cambiamento e in un continuo processo di influenza reciproca”.
Ci sono culture invisibili, o meglio indefinibili, che attraversano ogni angolo del mondo, ma che appartengono alla storia quanto le culture e le identità riconosciute ufficialmente come tali.
Una di queste culture, non codificate, ma ricche di apporti e di storia, è certamente quella abbraccia un territorio vasto e complesso come quello tirolese. E’ una cultura fatta di tante culture, che si plasmano secondo quel processo di incontro, trasmissione e scambio, che i moderni antropologi identificano in un processo di “ibridazione”. “Da che mondo è mondo le culture si sono incontrate, si sono guardate con sospetto, sono entrate in conflitto, hanno scambiato, dialogato, hanno imparato le une dalle altre, non si sono solo “irrimediabilmente scontrate” – spiegava Fabietti in uno dei suoi numerosi saggi sull’argomento. “Questi incontri, pur avvenendo in uno spazio caratterizzato da rapporti di forza generatrici talvolta di drammi e di violenze, sono stati alla base di una riformulazione continua delle identità e dei codici culturali su cui tali identità si sono fondate”.
** Non esistono identità pure
L’insegnamento che si può trarre da queste parole è che non esiste una identità “pura” perché tutti siamo stati coinvolti in questo lungo processo di ibridazione. Tutti siamo attori, insomma, di un continuo cambiamento, che si riflette ogni giorno anche sulla nostra cultura materiale. Gli esempi, in ambito tirolese/trentino, sono infiniti: la reciprocità, lo scambio, il dialogo hanno caratterizzato per secoli questa regione. E non c’è dubbio che questo processo di “ibridazione” diventerà ancora più evidente nei prossimi decenni, con i fenomeni della mobilità delle persone, dell’immigrazione e della tecnologia. Proprio perché le culture non sono monolitiche, ma in continua relazione, dobbiamo chiederci dove risiede la ragione storica della nostra identità e del nostro essere. Parlare di Trentino in contrapposizione a Tirolo, come fu durante l’epoca fascista, e come lo è in parte ancora oggi, ha certamente un significato politico, ma non culturale e storico. Così come parlare di Nord e Sudtirolo, come distinti da una linea di separazione artificiale quale è la frontiera del Brennero, ha certamente un significato politico, ma non culturale e storico.
** Superare la visione ottocentesca di confine
Il confine, da sempre soglia di transito e di movimento, non va inteso come una linea di demarcazione, ma come uno spazio dentro il quale si distinguono sfumature più o meno marcate di identità. Ecco allora, al di là delle rappresentazioni cartografiche e politiche, che in una regione come quella tirolese / trentina, dove i confini dovrebbero assumere un ruolo cerniera anziché di separazione, la cultura invisibile e non codificata emerge come elemento inscindibile dell’identità, superando concezioni ottocentesche legate al nazionalismo e all’appartenenza linguistica. Posto dunque che non esistono identità pure, ma esse sono il frutto di questi processi di ibridazione e sovrapposizione, il concetto stesso di confine non dovrebbe avere alcun significato politico, poiché ciascun abitante di questo territorio a cavallo delle Alpi, potrebbe definirsi e riconoscersi in varie culture: austriaca, italiana, tirolese, trentina, ladina, europea o quant’altro, al netto di quella visione ottocentesca e novecentesca che impone ad ogni cittadino una opzione netta e non negoziabile della propria nazionalità e identità.
La speranza allora è che quella cultura invisibile e non riconosciuta, di cui si parlava in apertura di questo articolo, diventi elemento fondante per la costruzione di una nuova società che possa superare i confini nazionali, concedendo ad ogni individuo la libertà e il diritto di sentirsi appartenere a più culture e identità. Il tutto in chiave europea e transnazionale e in una prospettiva di convivenza, che altro non sarebbe che il ritorno a quella varietà di elementi identitari e stili di vita propri delle popolazioni di tutto l’arco alpino.